Indice Storia
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Solo
agli inizi degli anni Cinquanta la monografia del
danese Knud Lundback (1912-1995) stabilisce una
corretta coscienza delle complicanze
neurovascolari (ubiquitarie, ma essenzialmente
retinopatia e nefropatia) specifiche del diabete
di lunga durata (Fig.1).
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Entità,
questa, resa possibile da trent'anni di terapia insulinica,
oltre che dalla scoperta degli antibiotici (penicillina,
1945 e streptomicina, 1950), che ha rimosso la subdola
pericolosità delle infezioni in corso di diabete.
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Essa
era stata segnalata nel 1713 da William Cheselden
(1688-1752)
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Fig.1
- Frontespizio della monografia di Lundbaek, che
ha aperto la via allo studio razionale delle
complicanze nel diabete di lunga durata. |
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Fig.2
- Fondoscopia
nella iconografia dei trattati di oculistica,
fine-inizio secolo. |
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Già
in epoca pre-oftalmoscopica, erano stati segnalati disturbi visivi nei diabetici
dai sempre citati John Rollo e Apollinare Bouchardat. Ma appena dopo la scoperta
dell'oftalmoscopio per l'esame del fondo oculare (Fig.2)
da parte di Hermann Helmholtz (1821-1894), Eduard
Jäger von Jaxtthal
(1818-1884), a Vienna - nel 1855- descrive disegna e stampa in ottima litografia
a colori il grave danno bilaterale della retina nel ventiduenne giardiniere
Wilhelrn W., da 4 anni diabetico e da 5 settimane disturbato da difetti del
potere e del campo visivo (Fig.3).
Questa
prima descrizione è alquanto differente dai quadri di retinopatia che siamo
oggi soliti osservare, ma viene definita "retinite"
da V. Jäger stesso nel 1869 e "retinitis
diabetica ", nel 1875, dall'autorevole oculista Theodor Leber
(1840-1917), insieme ad altri 18 casi: se ne rilevano fin da allora le
somiglianze con la "retinitis
albuminurica". Un altro oculista viennese, Julius Hirschberg
(1843-1925), distingue però, nella retinite diabetica, le componenti essudativa
ed emorragica (1887).

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Fig.3
- La
prima immagine di complicanza retinica nel diabete (E.Jäger,
1855). Il quadro è essenzialmente quello di una "Apoplexie
der Retina". |
Fig.4
- retinite
albuminurica in un disegno di C. May. Sono ravvisabili le
analogie con la retinite diabetica. (Da "Manuale di
Oculistica", UTET, Torino, 1909) |
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I
grandi trattati dell'era pre-insulinica mantengono ancora le analogie tra
retinite albuminurica [Fig.4]
e
retinite diabetica, stabilendo per quest'ultima una frequenza oscillante dal 14%
al 20%. La confusione concettuale del periodo è ben rispecchiata da Joseph von
Mehring che, sempre poco interessato al diabete, scrive sbrigativamente nel suo
trattato del 1908 che i disturbi della capacità visiva sono provocati "per
lo più da intorbidamento della lente (cataratta) o da alterazioni della facoltà
di accomodazione, in alcuni casi da retinite o atrofia del nervo ottico".

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Del
1939 è l'atlante fotografico (in bianco, nero e grigio, con camera Zeiss) del
fondo oculare ad opera di Henri Tillé, il quale ricorda che fu Henry Drury
Noyes (1832-1900), di New York, ad avere l'audacia di fotografare l'immagine
oftalmoscopica del coniglio nel 1862. Nel 1951 si affermano le retinografie a
colori e nel 1959 Hans-Walter Larsen, al Niels Steensen Hospital, pubblica il
primo atlante fotografico a colori della retinopatia diabetica.
Retinopatia e
non più retinite: la sua frequenza è stimata attorno al 32%. Nel 1959, dopo
che U. Flocks aveva usato una cinefotografia
del fundus nel gatto (vittima di tanti altri antichi esperimenti
oftalmoscopici!), due studenti americani di medicina, Harald Novotny e David
Alvis, creano la fluorangiografia (FAG). Cioè,
la fotografia sequenziale della retina umana a mezzo di fluoresceina iniettata
endovena e contrastante i suoi vasi. La FAG porta l'attenzione, oltre che sul
polo posteriore, anche sulla retina periferica e sulle aree ipoperfuse.
Nel
1959, G. Meyer-Schwickerath, di Bonn con H. Littmann della Zeiss, alla Clinica Oculistica di Bochum-Essen, introduce
la fotocoagulazione per il trattamento preventivo delle emorragie retiniche
ricorrenti, da microaneurismi e da vasi neoformati. Dopo anni di scetticismo,
mentre si perfeziona la tecnica fluorangiografica, nel 1968 è confermato il
miglioramento anatomico e visivo della retinopatia dopo fotocoagulazione con
Argon- Laser, in sostituzione del convenzionale apparecchio allo Xenon. Non ha
invece seguito una radioterapia retinica di Robert Trueman (1953).
Nel
1955, fu proposta a Stoccolma da R. Luft e H. Olivecrona la ablazione chirurgica
dell'ipofisi per la retinopatia florida, mentre
l'inglese T.R. Fraser (nel 1962) raccomandò la ipofisectomia mediante
infissione intrasellare di aghi di Ittrio radioattivo. Dopo migliaia di
interventi, la pratica fu fortunatamente sospesa. Essa si fondava sui risultati
sperimentali di Bernardo Alberto Houssay (1887-1971) sul diabete da estratti
ipofisari (ormone della crescita) e sullo straordinario caso di Jacob E. Poulsen
(1907-1988), visto anche da noi nel 1956 al Niels Steensen Hospital: una giovane
diabetica aveva presentato miglioramento spettacolare della retinoparia avanzata
in seguito a necrosi ipofisaria post-parto.
Per
quanto riguarda la nefropatia, si
suole far risalire al pugliese- napoletano Domenico Cotugno (1736-1822) la prima
descrizione della albuminuria in un diabetico, mediante produzione di coagulo
per ebollizione dell'urina con acido acetico , secondo quanto indicato
dall’olandese Paul Barbette nel 1695. Ma Sir Richard Bright (1789-1858), il
nefrologo, non segnala alcun diabetico fra i suoi pazienti.

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La
trattatistica dell'Ottocento riporta una frequenza di albuminuria nel diabete
dall'11 % al 43 % (Charles Bouchard: 1835-1888; Hermann Senator: 1834-1911), ma
- in complesso - essa fu ritenuta di origine nervosa, alternante con la glicosuria, benigna e non dipendente da
malattia renale, a meno che non si fossero trovati i segni di una nefrite o
morbo di Bright (Fig.5),
(Fig.6).
Di qui l'asserzione di Guillaume
Dupuytren (1778-1836) che
l'albuminuria è un “segno di guarigione” del diabete, secondo un equivoco
propalato da Erasmus Darwin (1731-1802) nella sua Zoonomia del 1794. Le
giuste proporzioni sono ristabilite dal veneziano Giacinto Namias (1819-1874).
Terapia, caso mai: tintura di gialappa composta e riposo.
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Fig.5
- Una
delle prime monografie sulla sofferenza renale nel
diabete. Una tesi di laurea di Guido Rota
all'Università di Torino ricalca, nel 1899, gli stessi
concetti. |
Fig.6
- Pubblicità medica verso fine Ottocento. |
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Solo nel 1936, il patologo
americano Paul Kimmelstiel (1900- 1980), con Clifford Wilson, parla per la prima
volta di "nefropatia
diabetica” -ma il termine è di Ludwig Aschoff
(1866-1942)- sul riscontro anatomico di tipiche lesioni del glomerulo
microvascolare renale in soggetti diabetici venuti a morte per insufficienza
renale, dopo sintomatologia progressiva di albuminuria, edemi e ipertensione
arteriosa (Sindrome di
Kimmelstiel - Wilson).
Il
progresso inesorabile della nefropatia verso l'insufficenza
renale è arrestato nel 1972 da Carl Erik Mogensen, di Aarhus,
con il trattamento anti-ipertensivo (preferibilmente con
ACE-inibitori) della microalbuminuria
(Gian Carlo Viberti, Londra) e con una certa restrizione proteica nella
dieta. Negli anni Ottanta, inoltre, si sono estese ai diabetici
nefropatici le risorse del trattamento dialitico e del trapianto
renale.
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Fig.7
- Prima
trattazione sistematica della neuropatia diabetica
(1956). |
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Negli
anni Cinquanta, si comincia anche a valutare l'importanza - in diverse
monografie - della neuropatia (periferica
sensitivo-motoria e autonornica) nel diabete di lunga durata (Fig.7). 1 diabetologi apprendono dai neurologi a ricercarne i segni (Fig.8).
Ma la prima descrizione della neuropatia, dopo qualche accenno di Rollo,
data da un secolo prima.
Il
4 luglio 1853, il corso Charles-Jacob Marchal (1815-1873), che usava firmarsi
"Marchal de Calvi", pubblicò a Parigi una "Note pour servir à
l'histoire du diabète", cui farà seguito un grosso libro del 1864. Sotto
il titolo "Accidents cérébrospinaux diabétiques", oltre ad
alterazioni motorie, si segnalano agli arti inferiori dei diabetici 'formicolii, aberrazioni della sensibilità tattile, termica e
dolorifica, con dolori lancinanti".
Marechal sottolinea che "questi
sintomi allarmanti possono dissiparsi dopo un certo tempo". Sono i
sintomi di polinevrite e multinevrite che
riportano largamente molti Clinici interessati al diabete, come il neurologo
della parigina Salpêtrière, Jean Martin Charcot (1825-1893) ammirato ovunque
per le sue spettacolari lezioni sull'isteria e relativa iconografia.

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Fig.8
- Scheda neurologica introdotta nel 1957 da L.Bossi al Maria
Vittoria di Torino. |
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Con
lo studio sistematico della neuropatia, si giunge a constatare che essa
interessa specialmente il piede ipoestesico del diabetico, con ulcerazioni e "mal
perforante piantare ".
L'espressione è di Auguste Nélaton
(1807-1873), che con il suo specillo aveva contribuito a salvare dalla
amputazione il piede del generale Garibaldi, ferito all'Aspromonte nel 1862.
Sono poi riferite alterazioni osteoarticolari distruttive e ricostruttive simili
a quelle - da lesione midollare luetica - che lo stesso Charcot riuniva nella
locuzione "pied tabétique".
Ciò, per analogia, porterà, nel 1954,
alla individuazione di un "pied diabétique
"
(P. Boulet). Il piede
neuropatico, dunque, come complicanza caratteristica del diabete.
Nel
1904, O. Hildebrandt, alla Charité di Berlino, descrisse una entità specifica
che chiamò "gangrena diabetica delle
estremità ".
Alla amputazione trovò marcata riduzione del lume
arterioso, anche se non completa obliterazione, come nella comune arteriopatia
senile. Il piede angiopatico fu così
riconosciuto come manifestazione locale della macroangiopatia arteriosclerotica, accelerata dal diabete. Fino al
1892 la gangrena era stata considerata tra le diffuse lesioni della cute,
situate "di preferenza alle singole dita e raramente a tutta l'estremità"
(Eichorst).

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Il
principio del trattamento conservativo a oltranza del piede diabetico comparirà
con il chirurgo Max Burger nel 1954, a Lipsia (Fig.9).
A parte la chirurgia vascolare, la chirurgia non demolitiva troverà una
brillante soluzione con la ray excision
(radiectomia
o eliminazione dell'intero raggio: dito e metatarso) e la non sutura di W. G. Oakley, successore di R. D. Lawrence al King's
College di Londra (1970). D’altronde, già nel 1775, Giovanni Ulrico Bilguer
discorreva di "inutilità delle amputazioni per gangrena".
Per
quanto riguarda la prevenzione delle complicanze, è interessante ricordare come
già Lundbaek, in quegli anni Cinquanta, avesse preconizzato lo stretto
controllo della glicemia a mezzo di multiple iniezioni di insulina. Lo stesso
concetto era stato propugnato da Peter H. Forsham (1915-1995), diabetologo e
ricercatore di San Francisco: diabetico dall'età di 9 anni, era stato tra i
primi a essere trattato con l'insulina.
Si ritiene oggi, pur con
qualche riserva (DCCT, Bethesda), che valori di emoglobina glicata ai limiti di
8% segnino la demarcazione del rischio di complicanze, a parte - naturalmente -
i fattori genetici e ambientali. La tossicità
del glucosio pare essere mediata. dai prodotti finali della glicazione non
enzimatica (v. capitolo 8).
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Fig.9
- Il
libro di Bürger sulla macroangiopatia diabetica. Vi si
propone il trattamento con infusioni endevonose
glucosate per delimitare le aree necrotiche al piede. La
loro rimozione segue con estrema prudenza. |
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